Anno Nuovo, si cambia. Buon 2020 !!!
Il troppo stroppia, famoso proverbio che citavano i nostri genitori per invitarci a non esagerare nel fare richieste per il possesso di beni voluttuari; indirizzato persino all’eccesso di consumo di prelibatezze gastronomiche costose, non necessarie e distanti dalle possibilità economiche del momento.
Ricevere in regalo un giocattolo era ai miei tempi una cosa da ricchi, infatti la massima aspirazione era rappresentata dalla possibilità di poter ricevere in dono un pallone di cuoio; la bicicletta era un’utopia.
L’inizio delle festività natalizie venivano annunciate, sin dai primi di dicembre, da spari di “tric trac, piscetielle e bott’ ‘a muro”; le vetrine dei negozianti di pastori erano le mete ambite da grandi e piccini dove poter scegliere i probabili componenti del presepe; i marciapiedi cittadini venivano invasi da “pisciaiuoli” tradizionali e occasionali, pronti ad offrire anguille, capitoni, vongole, stoccafisso e baccalà.
Mandarini, purtualle, datteri, semente, torrone, fiche secche (frutta), prugne secche, castagne ‘nfurnate e taralle ca ‘nzogne erano le specialità del tradizionale momento.
Le famiglie si riunivano presso il familiare possessore della più alta disponibilità di tavoli e sedie; i parenti ricevevano compiti di approvvigionamento vettovaglie in funzione alle attestate specializzazioni culinarie.
Lo zio Giovanni, enologo per passione, provvedeva al vino di Gragnano, prodotto con i propri piedi.
Lo zio Vincenzo, chef a casa propria per necessità, confidando asseriva: – muglierema (prof.ssa di matematica) cucina ‘na schifezza !!!.
Così motivava la personale creazione di pietanze e manicaretti esclusivi.
‘A verità? cucinava sicuramente meglio ‘a mugliera.
‘O zi Nicola, portava ‘e panettune e ‘o spumante che gli avevano regalato, e ovviamente, … ‘a vocca soja, da mugliera e de quatte famelici piccirille.
Zia Rosalia faceva certi “struffoli” conditi con lo zucchero squagliato, che quando li doveva distribuire c’era bisogno dello scalpello per dividerli. Il miele l’hanno inventato molto tempo dopo; nun parlamme de riavulille (sconosciuti).
Le mogli dei parenti invitati iniziavano a cucinare dalla mattina, impastando e friggendo triglie, polpi e calamari.
Con immenso piacere si assisteva a divertenti diverbi sulle dosi di sale e olio da adoperare, sia per l’eccessivo spreco che per motivi di “pressione alta”.
I mariti, spuzzelianno ccà e llà, sorseggiavano vino a mò di sommelier, adoperandosi per la perfetta sistemazione al tavolo.
Man mano che aumentava l’appetito, ognuno si sistemava alla “griglia di partenza”, per l’assalto alle vettovaglie.
‘E criature, impazienti e affamati, allietavano i presenti con lamenti giustificati dalla incontenibile fame, ricevendo scapaccioni per il tentato furto di antipasti già in tavola.
Dopo quattro ore di “luculliano banchetto”, i sopravvissuti proponevano di dare inizio alla tradizionale “tombolata”.
Concludendo, medito molto sul titolo: C’era una volta…NATALE, convinto sempre più, che sarebbe più opportuno accettare: C’era una volta…la FAMIGLIA.

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